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Gestione risorse idriche, dall’uso al riuso.

Le indicazioni internazionali ONU nella giornata dell’acqua del 22 marzo 2018 individuano nei sistemi basati sulla salvaguardia del ciclo idrico naturale la soluzione di buona parte dei fattori di criticità legati all’accesso all’acqua; e in quella del 2017 indicavano il riuso come chiave essenziale della gestione idrica.

Le indicazioni proposte puntano quindi a ricercare soluzioni a tutela dell’acqua attraverso investimenti nell’infrastruttura “verde” armonizzata con l’infrastruttura “grigia”, nella innovazione tecnologica, cioè sul riciclo delle acque e nella economia circolare

L’anno 2017, come e più dei precedenti, è stato caratterizzato da noi da una prolungata carenza idrica delle acque di superficie e di falda, che ha creato situazioni di palese difficoltà a cui sono seguiti divieti di prelievo in tutta la provincia. E solo a novembre inoltrato è rientrata l’emergenza idrica e sono stati nuovamente consentiti i prelievi.

Oltre alle difficoltà sostenute da allevatori ed agricoltori, la flora e la fauna di tutta la provincia ( in particolare quella ittica ) hanno subito una grave situazione di stress, con relativo impoverimento della intera biodiversità.

Tutto l’apparato tradizionale di approvvigionamento idrico si è presentato in grave carenza, tanto che vari Comuni dell’interno sono stati condannati a subire un prolungato razionamento idrico sanitario, oltre a divieti di prelievo per fini agricoli e di allevamento.

Si è cosi creata di fatto una situazione di discriminazione all’interno della comunità civile. I comuni di costa sono stati privilegiati nei consumi non subendo alcun razionamento idrico reale e riuscendo a tutelare la propria economia turistica. I comuni di collina e montani invece hanno visto penalizzata la propria qualità della vita per il lungo razionamento della risorsa idrica con restrizioni negli usi e in alcune realtà persino con l’approvvigionamento con autobotti per le necessità civili.

Questo stato di prolungata e prevista siccità sempre più si caratterizza quindi, oltre che per un generale depauperamento della risorsa, per una vera e propria discriminazione economica e umana delle comunità collinari e montane, il cui territorio è però fondamentale per la salvaguardia del capitale naturale e per la rigenerazione delle risorse idriche di cui beneficiano anche le attività costiere. Ma anche l’agricoltura di pianura ne è in prospettiva danneggiata, perché condannata a privilegiare colture non idro-esigenti, adatte anche a situazioni di stress idrico, a danno di quelle più pregiate, come quelle orticole, proprio quando la domanda locale di questi prodotti è massima per la presenza di un ingente flusso turistico stagionale.

E ciò a meno di non appesantire ancor più lo sfruttamento delle falde del F. Marecchia e delle altre fonti idriche tradizionali, con conseguente inevitabile impatto sull’ambiente locale, e di andare in competizione con il prelievo per usi sanitari.

Questa situazione evidenzia una ormai insostenibile politica di sfruttamento delle risorse idriche del territorio e di approvvigionamento esterno, che privilegiano sempre il solo prelievo della risorsa dall’ambiente, causando impoverimento della falda ed il sistematico prosciugamento delle acque di superficie, con conseguente desertificazione dei fiumi.

Ma proprio nei periodi di massima richiesta idrica e di carenza delle disponibilità stagionali è invece molto ingente la produzione di acqua da parte degli impianti provinciali di depurazione delle acque, che vengono inutilmente disperse in costa e da lì in mare, senza poter rientrare nel processo naturale del ciclo idrico.

La strategia di chiusura dei depuratori periferici (Poggio Berni, Verucchio, Coriano, Bellaria, Cerasolo Ausa…) a favore di più grandi impianti in costa, ha ulteriormente aggravato la situazione concentrando la depurazione in grandi impianti centralizzati ritenuti più efficienti, ma escludendo di fatto il reticolo idrografico esistente sul territorio per la ridistribuzione delle acque reflue all’ambiente.

Ed anche i recenti bandi regionali che promuovono lo stoccaggio delle acque in bacini artificiali continuano in questa visione a senso unico di prelievo della risorsa idrica dal territorio e di interventi impattanti sull’ambiente.

Si continua in sostanza ad ignorare l’ingente quantitativo d’acqua, depurata, filtrata ed affinata (circa 50.000 m3/g), rilasciata quotidianamente dal depuratore di S. Giustina, in tal modo disattendendo sistematicamente pratiche di riuso indicate per legge come prioritarie (vedi PRGA, PTA, Dlgs.152/2006, D. 185/2003), preferendo ricorrere invece a soluzioni emergenziali che gli stessi studi dichiarano residuali, come i bacini di stoccaggio.

Nella stagione turistica sono milioni le presenze quotidiane e massima è la produzione di acqua depurata, cosicché proprio nei momenti di maggiore siccità sarebbe massima la disponibilità di acqua da riutilizzare.

Oggi invece questa risorsa viene dispersa prevalentemente in mare, causando problemi di dolcificazione delle acque di costa e di anossia dei fondali, con rischio di morte degli organismi bentonici e scadimento delle acqua di balneazione.

La fioritura eutrofica, moderata ma sempre presente negli ultimi anni nella seconda parte dell’estate, è infatti imputabile a nostro avviso alla sempre più bassa concentrazione salina dovuta al convogliamento delle acque meteoriche di dilavamento e reflue depurate di un vasto territorio nello scaricatore del Fiume Marecchia, che interessando un limitato specchio di mare, contribuisce sempre di più al degrado delle acque da propriamente marine in acque di transizione, tipiche delle lagune costiere.

Contemporaneamente i nostri fiumi ad ogni estate diventano secchi e inadeguati ad ogni forma di vita, le nostre falde non si ricaricano e i prelievi abusivi nei periodi di emergenza e di divieto ne compromettono l’esistenza, mentre agricoltura e allevamento vivono una situazione di razionamento con relativo danno economico e freno allo sviluppo.

L’esagerato sfruttamento delle risorse naturali, in particolare di quelle idriche non rinnovabili, non è stato accompagnato da adeguati interventi con sistemi di trattamento basati su tecnologie naturali biocompatibili, in grado di innocuizzare e rinaturalizzare a costi minimi le acque reflue depurate e le acque meteoriche di dilavamento.

Anche il Piano di Salvaguardia della Balneazione (PSBO ) messo in atto dal Comune di Rimini manca ancora dell’ultimo passo necessario a “chiudere” il nostro ciclo aperto dell’acqua, quello di un progetto di riuso, abbozzato ma rimasto poi nei cassetti

Una pratica legata al riuso, introducendo la strategia del “Ciclo integrato chiuso delle acque”, con la “restituzione” delle acque depurate al territorio e alle attività umane, permetterebbe invece un immediato ribaltamento della situazione attivando un’economia di tipo circolare, che eviterebbe anche lo stratificarsi in mare delle acque dolci depurate, ai fini del riuso e del recupero idrogeologico ambientale del territorio rurale a monte degli insediamenti urbani.

Di vitale importanza inoltre diverrebbe la salvaguardia delle biocenosi dei corsi d’acqua, che rimanendo attivi nella stagione secca consentirebbero pure la depurazione naturale dei dilavamenti dei campi ricchi di nutrienti causati dai temporali estivi.

In questo modo si preserverebbe anche la qualità delle acque di balneazione dai nutrienti portati dall’entroterra.

Gli attori responsabili delle politiche ambientali e delle salvaguardia delle risorse idriche – Arpae, Hera, Atersir, Comuni della provincia e Provincia, Consorzio di bonifica, Regione Emilia Romagna e Italia Sicura – sembrano evitare invece di portare nei tavoli di programmazione gli obiettivi del riuso, ignorando le indicazioni di legge che impongono prima l’attuazione del “ciclo integrato chiuso delle acque”, poi le altre strategie indicate come secondarie.

A fronte di questa situazione, nell’Ottobre 2017, il Coordinamento delle Ass.ni Ambientaliste Riminesi ha inviato alla RER, ad ARPAE, Hera, Consorzio di Bonifica, Provincia e Comune di RN, nonché all’Unione dei Comuni alcune richieste di chiarimento in ordine allo stato di salute del Fiume Marecchia ed alla gestione della risorsa idrica.

In sostanza, in base a quanto disposto dal Testo Unico Ambientale, dal PRGA (Piano Regionale Gestione Acque 2015-21), dal PTA (Piano di Tutela Acque della RER) e dalle Linee Guida per la Riqualificazione Integrata dei Corsi d’acqua, si chiedeva fra l’altro:

1) Se esistesse, in ottemperanza al PTA, un Piano per il Riutilizzo delle acque reflue depurate.

2) Se, in corrispondenza dei punti di prelievo, venissero applicati i nuovi dispositivi ed i nuovi parametri chimico-fisico-biologico-idrologico-ambientali a garanzia del DMV (Deflusso Minimo Vitale) in alveo.

3) Se, come richiesto dal PTA, fosse in atto una campagna di informazione e sensibilizzazione su uso, consumo, risparmio e riuso della risorsa idrica.

Su tali quesiti non vi è stata risposta, se non limitatamente da parte di ARPAE ed una positiva disponibilità dell’Assessorato all’Ambiente del Comune di Rimini ad ulteriori confronti

Preso atto dell’incomprensibile ed immotivato silenzio opposto dagli altri Enti interpellati, chiediamo ora agli stessi di pronunciarsi pubblicamente almeno su un punto, a nostro avviso discriminante per il futuro Governo della Risorsa idrica: quello del Riuso delle acque depurate.

In realtà abbiamo di recente appurato che esiste fin dal 2011 un interessante progetto per il riuso delle acque depurate dalla nuova linea del Depuratore di S. Giustina ( oltre 50.000 m3/die ), con pompaggio a monte delle stesse fin quasi all’altezza di Villa Verucchio, e loro rilascio nel Marecchia o stoccaggio nei bacini di cava…Ma è rimasto poi ben nascosto nei cassetti : ci chiediamo perché e chi ha stabilito che le priorità dovevano essere altre.

Ancora. Due recenti bandi regionali promuovono lo stoccaggio delle acque in bacini artificiali prevedendo contributi pari rispettivamente ad otto e dieci milioni di euro, da destinarsi ai Consorzi di imprese agricole ed ai Consorzi di Bonifica, per la realizzazione di invasi nelle aree di pertinenza delle ex cave.

Nessuna previsione, invece, e zero euro per i progetti di riuso.

A parte i rischi connessi a tale opzione, sotto il profilo di tutela della falda e dell’impatto ambientale in genere, vogliamo ricordare che, stando alle stesse norme regionali, la scelta degli invasi è da ritenersi “soluzione residuale rispetto a possibili strategie alternative”, come appunto il riuso.

D’altra parte, in attuazione del D.Lgs.152/2006, ed in ottemperanza a quanto stabilito dal PTA, approvato nel 2005, la RER prevede l’obbligo da parte delle ATO (ora ATERSIR) di predisporre, insieme al Gestore (Hera) ed al Consorzio di Bonifica, i “Piani di riutilizzo” delle acque reflue a scopo irriguo.

A tal fine, ai sensi del D.n.185/2003, vengono individuati nella nostra Regione ventiquattro impianti, ritenuti “idonei a portare le acque reflue urbane depurate al recupero per il riutilizzo irriguo”, previo affinamento, filtrazione e disinfezione delle stesse, in conformità a valori massimi assai più restrittivi di quelli normalmente tollerati per le sostanze di varia natura presenti in alveo.

 Ebbene, l’Impianto di Rimini-Santa Giustina, già a quella data, spiccava per essere in quarta posizione con la sua capacità di restituzione pari ad una portata di 47.597 m3/giorno.

Infine rileviamo che il D.lgs.152/2006 (Parte III, Capo II. Art. 95, co.1e2) prevede la Pianificazione ed attuazione del Bilancio Idrico. E Ciò al fine di consentire un consumo idrico sostenibile, attraverso l’introduzione di apposite misure (nuovi parametri e idonei dispositivi per misurare il DMV) a tutela della qualità e quantità delle acque superficiali e di falda e soprattutto attraverso il prioritario ricorso, ove possibile, al riuso.

 Desta quindi motivo di ulteriore preoccupazione il fatto che, al 2015, il Bilancio Idrico del Fiume Marecchia venga valutato da ARPAE in termini di “criticità”.

Che cosa dobbiamo pensare allora in merito alla politica ancora in atto per la gestione della nostra risorsa idrica, anche a fronte dei cambiamenti climatici e dello stato permanente di carenza idrica degli ultimi anni?

E’ necessario che siano riviste le politiche consolidate che ci hanno trascinato in questa situazione di ordinaria, prevedibile e prevista emergenza, rivedendo da subito i piani di investimento per riconvertirli verso obiettivi ed opere più rispettose della legge e più coerenti con il principio dello sviluppo nel quadro della sostenibilità ambientale.

Particolarmente grave ci pare il fatto che ad oggi sia rimasto ancora senza alcun seguito il Progetto di fattibilità per il riuso delle acque rilasciate dal depuratore di S. Giustina, elaborato già nel 2011, progetto che aveva previsto il pompaggio a monte fino a Villa Verucchio delle acque depurate con rilascio sul fiume e accumulo negli invasi di cava, e conseguente loro restituzione all’ambiente ed agli usi agricoli e civili. Si tratta di almeno 18/20 milioni di m3 di acqua all’anno, una risorsa enorme, preziosa per la vita del Marecchia e le necessità umane

E stupisce che, anche a fronte della siccità degli ultimi anni, nessuna istituzione e nessuna forza politica ne abbia mai parlato: si tratta di una inadempienza grave, serviva solo per facilitare il rilascio della autorizzazione allo scarico da parte di Atersir?

Come Ass.ni del Coordinamento ambientalista di Rimini, chiediamo che si metta mano con assoluta urgenza ai progetti di riuso previsti dalle norme regionali, e imposti ancor di più dal buon senso e dall’aggravarsi dei cambiamenti climatici

E chiediamo anzitutto in questo senso che sia recuperato, aggiornato e sviluppato il Piano di fattibilità del 2011 per il riuso delle acque depurate dal depuratore di S. Giustina